“La
donna sparita, Giulia, si… la conoscevo di vista” disse Rossella al maresciallo
che si affannava a registrare la sua dichiarazione compilando un modulo su un
polveroso computer.
“Sai
ora è tutto informatizzato”. Sembrò quasi giustificarsi, ed intanto digitava
con estenuante lentezza le brevi dichiarazioni della giovane, sorridendo
nervosamente per lo sforzo.
“Purtroppo la stampante non funziona, aspettiamo
che ci inviino un tecnico. Quando stamperò la tua deposizione ti chiamerò, così
puoi passare a firmarla”.
Rossella
annuì, indispettita dalla lentezza del pubblico ufficiale e dal caldo torrido
che le rendeva la gola arsa.
Con
un colpo di tosse si schiarì la voce per salutare l’uomo e si allontanò verso
la porta. Il secondo carabiniere si alzò, si asciugò le goccioline di sudore
che gli si erano formate sulla fronte, slacciò il primo bottone del colletto
della camicia, e strattonandone il colletto, la seguì. Una volta che Rossella
ebbe varcato l’uscio chiuse prontamente la porta della caserma. Era mezzogiorno,
il suo orario di lavoro era terminato e gli uffici sarebbero rimasti chiusi
fino all’indomani.
Una caserma e due soli carabinieri erano più che
sufficienti per quel piccolo paese in cui non succedeva mai nulla. La loro
attività consisteva principalmente nella partecipazione a feste patronali,
cerimonie religiose e funerali.
L’ufficio era spesso deserto, raramente si
presentava qualcuno per denuncie e querele, che riguardavano per lo più liti
tra confinanti. Allora il maresciallo placava gli animi scoraggiando azioni
legali, che, come diceva, sarebbero state una perdita di tempo per tutti.
Tuttavia,
in quei giorni, la caserma sembrava presa d’assalto da persone di ogni età, che
erano state informalmente convocate per fare qualche dichiarazione sulla
ragazza scomparsa. Capitava, infatti, che i due carabinieri, aggirandosi per le
vie del paese, invitassero amichevolmente i conoscenti in ufficio per fare la
loro dichiarazione sui fatti.
Ed
in un piccolo paese ci si conosce tutti, ci si incontra una volta o l’altra in
qualche bar, a bere insieme per passare il tempo quando il mattino tarda a
venire.
Però
Giulia non era nata in quel posto, veniva dal nord, dove i suoi genitori erano
emigrati alla fine degli anni sessanta per sfuggire ad un sud depresso, negli
anni in cui il boom economico faceva sognare l’eleganza delle città, i vestiti
alla moda ed un’automobile nuova fiammante.
Agognavano
una vita migliore e nuove prospettive per i futuri figli, lontano da quel luogo
in cui le giornate trascorrevano lente, le ragazze ascoltavano i Rolling Stones
e indossavano le ciglia finte per percorrere i 500 metri che, dalla casa più
lontana dell’abitato, portavano alla centrale e polverosa piazza.
Mentre
il mondo cambiava il suo assetto, la lotta politica percorreva l’Italia, mentre
lontano migliaia di chilometri un enorme numero di persone si ritrovava a
Woodstock, in paese i giovani si stiravano i capelli, indossavano i pantaloni a
zampa e le minigonne e aspettavano lenti che arrivasse la sera.
Giulia
avrebbe avuto una vita migliore dei suoi genitori. Tenace, precisa,
inarrestabile, a testa bassa come un mulo, era arrivata alla laurea in un
batter d’occhio. Voti eccellenti e poi un bel lavoro.
Viaggiava
molto Giulia per lavoro, Stati Uniti, Cina, Est Europa, ma ogni anno ritornava
in paese. Forse perché era il luogo dorato della sua infanzia, che ritrovava ogni
volta dopo plumbei viaggi in treni affollati e polverosi. Era il luogo delle
interminabili serate con i parenti, il posto in cui gli adulti sedevano con le
sedie sui marciapiedi davanti alla porta di casa a chiacchierare pigramente ed
i bambini giocavano a nascondino nel buio quieto delle notti afose.
Ci
doveva essere tornata mal volentieri da adolescente, quando pure il mondo intero
è troppo piccolo, ed il paese, in cui tutto è eternamente fermo e uguale,
doveva esserle sembrato assai noioso.
Chi
viveva lì tutto l’anno aspettava l’estate con trepidazione, sognava l’arrivo di
gente nuova, e che bar, strade e spiagge svuotate tornassero a vivere.
Le
ragazze aspettavano gli amori estivi e i ragazzi di città che sembravano molto
più belli ed alla moda di quelli che si vedevano girare in paese tutto l’anno.
Avere una storia con un paninaro di città era come guardare giù dalle guglie
del duomo di Milano, poteva far girare la testa.
I
giovani sognavano la discoteca e non vedevano l’ora di poter scappare via.
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