venerdì 22 febbraio 2013

Capitolo 2- Nord e sud




“La donna sparita, Giulia, si… la conoscevo di vista” disse Rossella al maresciallo che si affannava a registrare la sua dichiarazione compilando un modulo su un polveroso computer.
“Sai ora è tutto informatizzato”. Sembrò quasi giustificarsi, ed intanto digitava con estenuante lentezza le brevi dichiarazioni della giovane, sorridendo nervosamente per lo sforzo.
 “Purtroppo la stampante non funziona, aspettiamo che ci inviino un tecnico. Quando stamperò la tua deposizione ti chiamerò, così puoi passare a firmarla”.
Rossella annuì, indispettita dalla lentezza del pubblico ufficiale e dal caldo torrido che le rendeva la gola arsa.
Con un colpo di tosse si schiarì la voce per salutare l’uomo e si allontanò verso la porta. Il secondo carabiniere si alzò, si asciugò le goccioline di sudore che gli si erano formate sulla fronte, slacciò il primo bottone del colletto della camicia, e strattonandone il colletto, la seguì. Una volta che Rossella ebbe varcato l’uscio chiuse prontamente la porta della caserma. Era mezzogiorno, il suo orario di lavoro era terminato e gli uffici sarebbero rimasti chiusi fino all’indomani.
 Una caserma e due soli carabinieri erano più che sufficienti per quel piccolo paese in cui non succedeva mai nulla. La loro attività consisteva principalmente nella partecipazione a feste patronali, cerimonie religiose e funerali.
 L’ufficio era spesso deserto, raramente si presentava qualcuno per denuncie e querele, che riguardavano per lo più liti tra confinanti. Allora il maresciallo placava gli animi scoraggiando azioni legali, che, come diceva, sarebbero state una perdita di tempo per tutti.
Tuttavia, in quei giorni, la caserma sembrava presa d’assalto da persone di ogni età, che erano state informalmente convocate per fare qualche dichiarazione sulla ragazza scomparsa. Capitava, infatti, che i due carabinieri, aggirandosi per le vie del paese, invitassero amichevolmente i conoscenti in ufficio per fare la loro dichiarazione sui fatti.
Ed in un piccolo paese ci si conosce tutti, ci si incontra una volta o l’altra in qualche bar, a bere insieme per passare il tempo quando il mattino tarda a venire.
Però Giulia non era nata in quel posto, veniva dal nord, dove i suoi genitori erano emigrati alla fine degli anni sessanta per sfuggire ad un sud depresso, negli anni in cui il boom economico faceva sognare l’eleganza delle città, i vestiti alla moda ed un’automobile nuova fiammante.
Agognavano una vita migliore e nuove prospettive per i futuri figli, lontano da quel luogo in cui le giornate trascorrevano lente, le ragazze ascoltavano i Rolling Stones e indossavano le ciglia finte per percorrere i 500 metri che, dalla casa più lontana dell’abitato, portavano alla centrale e polverosa piazza.
Mentre il mondo cambiava il suo assetto, la lotta politica percorreva l’Italia, mentre lontano migliaia di chilometri un enorme numero di persone si ritrovava a Woodstock, in paese i giovani si stiravano i capelli, indossavano i pantaloni a zampa e le minigonne e aspettavano lenti che arrivasse la sera.
Giulia avrebbe avuto una vita migliore dei suoi genitori. Tenace, precisa, inarrestabile, a testa bassa come un mulo, era arrivata alla laurea in un batter d’occhio. Voti eccellenti e poi un bel lavoro.
Viaggiava molto Giulia per lavoro, Stati Uniti, Cina, Est Europa, ma ogni anno ritornava in paese. Forse perché era il luogo dorato della sua infanzia, che ritrovava ogni volta dopo plumbei viaggi in treni affollati e polverosi. Era il luogo delle interminabili serate con i parenti, il posto in cui gli adulti sedevano con le sedie sui marciapiedi davanti alla porta di casa a chiacchierare pigramente ed i bambini giocavano a nascondino nel buio quieto delle notti afose.
Ci doveva essere tornata mal volentieri da adolescente, quando pure il mondo intero è troppo piccolo, ed il paese, in cui tutto è eternamente fermo e uguale, doveva esserle sembrato assai noioso.
Chi viveva lì tutto l’anno aspettava l’estate con trepidazione, sognava l’arrivo di gente nuova, e che bar, strade e spiagge svuotate tornassero a vivere.
Le ragazze aspettavano gli amori estivi e i ragazzi di città che sembravano molto più belli ed alla moda di quelli che si vedevano girare in paese tutto l’anno. Avere una storia con un paninaro di città era come guardare giù dalle guglie del duomo di Milano, poteva far girare la testa.

I giovani sognavano la discoteca e non vedevano l’ora di poter scappare via.

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